RETE UNICA

«Rete unica italiana è passo avanti rispetto al modello britannico Openreach»

La posizione di Gerard Pogorel, esperto internazionale di telecomunicazioni, già consulente del governo italiano

di Simona Rossitto

Gerard Pogorel, esperto di tlc

5' di lettura

Il progetto di rete unica in Italia rappresenta un passo avanti rispetto al modello britannico di Openreach, finora ritenuto quello in Europa con il maggior grado di separazione tra l'infrastruttura e l'ex monopolista. Lo sostiene Gerard Pogorel, esperto internazionale di telecomunicazioni, già consulente del governo italiano e membro indipendente dell'Organo di vigilanza di Tim sulla rete. «Se guardiamo al futuro, la rete unica – spiega a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore- Radiocor e della Luiss Business School - corrisponde a una razionalità astratta degli investimenti, consente di non duplicarli e accelerare lo sviluppo della rete». In particolare, Pogorel sottolinea, tra gli aspetti positivi, l'apertura agli investimenti degli altri operatori, fattore determinante, e afferma la necessità di rafforzare la governance della società della rete e il ruolo dell'Organo di vigilanza. Adottando un modello con operatore verticalmente integrato, avverte, bisognerà stare attenti a mantenere la concorrenza a livello retail, senza tuttavia renderla «micidiale». In Europa, ricorda, i prezzi per la fibra sono troppo bassi e a farne le spese sono gli operatori «che si impoveriscono ogni anno di più».

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Professore, lei è stato uno degli esperti che, nel rapporto al presidente del Consiglio nel 2014 (detto rapporto Caio), avevano già individuato le carenze del broadband in Italia nel contesto dell'Agenda digitale. Che ne pensa del memorandum of understanding tra Tim e Cdp sulla rete unica?

Finalmente! E' un risultato, il periodo è molto difficile, ma la capacità rinnovata di decisione è benvenuta.


Quale il ruolo dell'Organo di vigilanza di cui ha fatto parte nel nuovo contesto?


Sono d'accordo con l'attuale presidente dell'Organo che sottolinea il ruolo dell'istituto, in ambito dell'accesso alla rete, nel monitoraggio della parità di trattamento degli operatori e sostiene la necessità di rafforzarne il ruolo. Quando ero membro dell'organo di vigilanza, con Giulio Napolitano presidente, abbiamo studiato la situazione della Gran Bretagna e dell'Italia, paragonando i due rispettivi modelli Openreach e Open Access. In Italia, a differenza della Gran Bretagna, c'è un Organo di Vigilanza che è composto da indipendenti i cui membri sono designati sia da Tim sia dall'Agcom. Tutti i dirigenti di Openreach, che pure è societariamente separata da British Telecom, provengono da BT e non c'è un istituto indipendente simile all'Organo di Vigilanza.


Dal suo punto vista il progetto di una rete unica a controllo Tim, ma equilibrato con la Cdp e aperto alla partecipazione degli altri operatori, è un passo avanti dell'Italia rispetto al modello britannico?


Certamente. Nel mondo ci sono pochi casi di separazione formale (Openreach, Tim) o strutturale (Nbn in Australia). Se guardiamo al futuro, la rete unica corrisponde a una razionalità astratta degli investimenti, consente di non duplicarli e accelerare lo sviluppo della rete. Come richiamato da Franco Bernabè (ex ad di Tim, oggi presidente di Cellnex, ndr), tuttavia, le autorità indipendenti, Antitrust e Agcom, hanno tendenza ad avere dubbi sull'integrazione verticale, che secondo i principi di economia è considerata quantomeno delicata. Quindi bisogna avere una doppia attenzione: incentivare gli investimenti ma tutelare la concorrenza retail.

Openreach e Tim a parte, l'unico caso di separazione totale della rete dell'incumbent è quello di Nbn in Australia che però non è un caso di successo. Che cosa ne pensa?

Nbn in Australia è in ritardo, non funziona bene, da quel che so ci sono problemi di carattere istituzionale. I governi in Australia non hanno avuto una politica coerente al riguardo. Questo ha impedito uno sviluppo del modello australiano, molto criticato. Inoltre l' Australia riguardo allo sviluppo della rete tlc è un Paese molto difficile, molto ampio. D'altronde, e questo vale anche per il caso italiano, i fattori geografici sono determinanti. Perché la Corea è sempre al top delle classifiche della digitalizzazione? Sicuramente influisce il fatto che la popolazione coreana è concentrata nei grandi centri, le abitazioni sono verticali, il costo dello sviluppo della rete è molto più basso rispetto a quello registrato dalle città italiane che non hanno tali caratteristiche. A questo proposito, prima di giudicare lo stato della digitalizzazione di un Paese come l'Italia bisogna considerare vari fattori. L'Italia, infatti, si colloca intorno alla media europea se guardiamo alla posizione dei paesi Ocse. Sono tuttavia determinanti le differenze tra i vari Paesi: in particolare sono importanti il rapporto Pil/abitanti, la densità di popolazione e la concentrazione urbana, i comportamenti dei consumatori nell'adozione delle innovazioni tecnologiche.

Quali difficoltà intravede nella realizzazione della rete unica in Italia?


Bisognerà mettere assieme le forze manageriali e tecnologiche di Tim e di Open Fiber, ma, dal mio punto di vista, ho sempre apprezzato le qualità di queste due società. Certo ci sarà la difficoltà di integrare le strutture di rete, bisognerà prendere il meglio delle due. D'altra parte c'è un aspetto interessante dell'accordo: l'apertura alla partecipazione degli altri operatori alla società di rete. In FiberCop, la società della rete secondaria scorporata da Tim, c'è già la partecipazione di Fastweb. Una problematica che abbiamo sempre avuto nella regolamentazione riguarda il caso dell'operatore che può comprare l'accesso alla rete senza investire nell'infrastruttura.


Lei ritiene preferibile che gli operatori retail investano nelle reti. Ma questo è il contrario del modello wholesale only previsto nel codice europeo delle comunicazioni elettroniche.


Il modello wholesale only si può applicare in due diversi contesti. Una rete unica wholesale only oppure una concorrenza tra operatore verticalmente integrato e operatore wholesale only. Il modello wholesale only non ha problemi di accesso, perché tutti i clienti sono uguali, non è in concorrenza con i suoi clienti. Il problema è per l'operatore verticalmente integrato. In tutte queste materie tuttavia non c'è una risposta definitiva e molti problemi in Italia sono dovuti alla storia di Telecom Italia. Adesso si è creata una situazione nuova con investitori in infrastruttura come i fondi Kkr, Macquarie: si tratta di un contesto molto interessante.

Da un lato puntare agli investimenti sulla rete, dall'altro tutelare la concorrenza almeno a livello retail. Quali rimedi per equilibrare la situazione?


Occorre rafforzare la governance della società di rete e il ruolo dell'Organo di Vigilanza. Inoltre è importante la possibilità che gli operatori alternativi entrino nella società della rete. Un grosso problema, che accomuna i Paesi europei, è poi l'esistenza di una pressione concorrenziale troppo forte con prezzi troppo bassi. Adesso i consumatori possono avere accesso a tutta la scienza e conoscenza del mondo al prezzo di una pizza, 10 euro al mese. Tutto ciò non consente agli operatori, che ogni anno si impoveriscono, di fare gli investimenti. Bisogna rivedere il livello di regolamentazione per mantenere la concorrenza ma in modo che non sia micidiale.

Garantire cioè la concorrenza retail ma senza esagerare per non uccidere le aziende?

Io sono molto favorevole alle politiche pubbliche, forse bisogna meglio integrare gli obiettivi di politica pubblica nella regolamentazione, in maniera compatibile con il management delle aziende, puntando all'incentivazione degli investimenti. Vale sia per il monitoraggio delle tariffe sia per le varie tecnologie che possono integrare la rete in fibra, come il fixed wireless. Nel futuro bisognerà guardare l'attività di tlc nell'ottica di un' integrazione tra fisso e mobile. In particolare nel mobile si sono viste follie: i governi hanno avuto in tutti i Paesi europei un atteggiamento schizofrenico, chiedendo da un lato agli operatori di investire in reti di nuova generazione, dall'altro pretendendo svariati miliardi per l'assegnazione delle frequenze 5G.

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